Non si apre. Su questo quasi nessuno nutriva dubbi. In fondo chi vive e lavora nel circo bianco ha sempre saputo, in cuor suo, che difficilmente gli impianti avrebbero aperto, né per Natale, né per il sette gennaio e, molto probabilmente, neppure per metà febbraio, come invece indica l’ultimo decreto. Nell’anno delle eccezionali nevicate già a fine novembre, del Natale in bianco e delle piste candide anche a basse quote, per lo sci e per tutto l’indotto l’allarme è rosso.

La consapevolezza di tutti è che la stagione è completamente persa, anche se si dovesse attivare qualcosa a febbraio: in alta Vallecamonica l’ottanta per cento dei frequentatori, dopo capodanno, sono stranieri, e dalle Alpi non potrà entrare nessuno. Nelle piccole stazioni come Borno e Montecampione, poi, la gran parte degli incassi stagionali si fanno a cavallo delle festività di fine anno. E allora, che fare? Una domanda che serpeggia in tutte società impianti da alcune ore. Se le sorelle minori dello sci camuno ci stanno ancora pensando, e restano alla finestra, per il momento, senza decidere, tra Ponte di Legno e il Tonale di dubbi non ce ne sono affatto: si apre. Qualsiasi data e in qualsiasi condizione. Non per incoscienza o perché si speri (invano) di recuperare qualcosa di quanto perduto. Ma solo per «rispetto e per sostegno dell’anello più debole del mondo dello sci», ovvero gli stagionali del turismo, i maestri di sci, chi affitta attrezzatura, i gestori dei rifugi, ma anche baristi, ristoratori e albergatori. Guadagni zero. Professionisti che, quest’anno, non sono riusciti mai a partire. Che di ore lavorate ne totalizzano pressoché zero. E che, nei «famigerati» ristori del Governo, non vengono neppure considerati.

Per molti di loro l’ultimo stipendio è stato ad agosto (dopo averne saltato qualcuno in primavera, sempre causa pandemia) e il prossimo, con tutta probabilità, sarà a luglio. Una situazione drammatica, che coinvolge centinaia di famiglie in alta Vallecamonica. «Attivare gli impianti è un dovere morale di rispetto per loro – dice il presidente della Sit Mario Bezzi -, è tutta gente che ha voglia di lavorare, che non lesina le ora quando è piena stagione. E nessuno se ne occupa. Per noi si tratta di aprire in perdita, perché ormai non si possono neppure più mettere le pezze, ma non importa, basta riuscire a far guadagnare qualcosa a chi lavora nell’indotto. Questa oggi è la nostra urgenza: le centinaia di persone a casa senza tutele e indennizzi, che hanno solo voglia di lavorare».

Borno e Montecampione. Amarissimo il boccone da ingoiare pure in Borno Ski area: «Molte persone credono che non siamo rispettosi, perché pensano si tratti solo di una sciata, di svago – dice Demis Zendra, amministratore delegato -, ma per noi è lavoro, nostro e di chi in montagna investe e crede, anche in termini di sicurezza. Ora è presto, stiamo valutando tutte le possibili soluzioni, ma prima dobbiamo avere certezze sui ristori, vitali per poter dare un futuro al settore». «La stagione è persa almeno al novanta per cento – rincara Stefano Iorio, presidente di Montecampione Ski area -, operiamo tre mesi all’anno, sfruttando soprattutto il periodo di Natale. Ci è stato impedito di lavorare, nonostante gli investimenti fatti. Iniziamo a pensare all’anno prossimo». Ovunque, anche in Valcamonica, il mondo della montagna e della neve reclama attenzioni, di essere preso in considerazione, ricevendo ristori e certezze. A esempio come hanno già fatto Francia e altri Stati europei: lì, gli aiuti, sono già stati stanziati.

dal giornale online: giornaledibrescia.it – Valcamonica
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