“L’Istria è una terra che, come le altre terre del mondo, può essere vista nella sua dimensione fisica, geografica e storica. Ed è in questa visione ideale fatta di case e di cose, di uomini e donne, di contadini e marinai, di campanili a punta e cimiteri, di Storia e di storie, di poesie e leggende, di miti e riti, di tradizioni e di superstizioni, di odori e sapori che si colloca il racconto della protagonista.
A quel triangolo di terra nella cornice delle sue rocce lisce e bianchissime con i pini che, incuranti della Storia, si chinano oggi come si chinavano ieri ad accarezzare un Adriatico che in nessun altro posto è così verde e trasparente, per molti anni si è voluta porre l’attenzione prevalentemente alla sua dimensione politica, senza riconoscerle nessun’altra possibile identità.
Ma l’Istria non è solo da associare ad una tragedia umana e politica come molti ormai sanno, nella quale l’evento storico dell’esodo giuliano-dalmata, noto anche come esodo istriano, viene unitamente collegato all’orrore delle Foibe, perché l’Istria è soprattutto bella e ricca di storie, le storie di quanti si riconoscono con forza e dignità originari di questa terra bellissima. E proprio questa dimensione fatta di bellezza, ricordi e sentimenti, permette a chi vuole raccontarla e comunicarla non solo di superare la Storia, ma di arricchirla attraverso i racconti della sua gente, di quanti si riconoscono italiani nati in Istria.
Nascere in Istria è anche il destino di portarsi dentro un dolore, che come tutti i dolori, è anche fisico: una piccola fitta allo stomaco, il respiro che improvvisamente manca nel momento in cui torni a ricordare, a portare al cuore la bellezza di quella terra che, per chi è nato in Istria come mia madre e mia nonna, rimane fissata indelebilmente nella memoria e che, senza volerlo o forse consapevolmente, le ha condannate a vivere con un sentimento di incompletezza e a volte, di estraneità.
Aver avuto la sorte di nascere in Istria ed averla perduta, non ha significato per loro solo aver perduto una terra, una città, una casa, i mobili di famiglia, la sicurezza, il benessere, il dialetto ma soprattutto ha significato perdere i propri cari, la propria gente, anche i morti al cimitero.
Con “l’esodo” letteralmente inteso come partenza, insieme al paese e alla casa, hanno perso tutti quei riferimenti che, come diciamo
oggi, servono a “far rete”, a proteggerti in qualche modo lungo la vita”. […]
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dal giornale online: Museo Resistenza Valsaviore
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