Silvia Zani, sentita in aula lo scorso 30 marzo, ammise: «Se Mirto non avesse parlato con il suo compagno di cella avremmo mantenuto il silenzio». Ed è chiaro quindi il ruolo determinante che ha avuto nel corso delle indagini il detenuto che per 85 giorni a Canton Mombello ha condiviso la cella con Mirto Milani.

Ne ha raccolto le confidenze poi le ha riferite agli inquirenti. Mettendo spalle al muro il trio criminale. Veneto, 53 anni, un background di conoscenze legali e investigative certamente fuori dal comune. Ufficialmente era detenuto per reati fiscali. «Ho voluto io andare in cella con Mirto» ripete da sempre.

A questo punto, a sentenza di primo grado emessa, ci svela chi è realmente lei?

«Una persona che ha agito senza alcun interesse. E senza ottenere nulla in cambio. Non mi ha chiesto nessuno di fare quello che ho fatto. E tutte le iniziative sono state frutto del mio pensiero».

Cosa l’ha spinta quindi a diventare prima il confidente di Mirto Milani e poi a riferire tutto agli inquirenti?

«Nessuno sarebbe rimasto indifferente davanti al racconto di Mirto. Al modo con cui hanno ucciso la povera Laura, a come l’hanno seppellita e ai diversi tentativi di ucciderla che avevano messo in pratica negli anni precedenti. Una mamma l’abbiamo tutti e non potevo far finta di nulla. Rifarei tutto. E poi mi lasci dire: siamo davanti a tre persone brutte, cattive e pericolose».

EMBED [Leggi anche]Però lei non si è mosso da detenuto comune. Ha scritto un diario dettagliato che ha poi consegnato in Procura, ha fatto confessare Mirto con una tecnica da esperti…

«Io ho cercato Mirto perché ero incuriosito. L’ho studiato e non ho semplicemente raccolto lo sfogo di una persona. Quando poi ha iniziato a parlare non ho trovato subito la collaborazione degli inquirenti. E sono stato anche lasciato solo ad un certo punto. Un esempio? Un giorno Mirto si accorge della presenza in cella di un sistema di intercettazione, me lo faccio dare convincendolo che lo avrei fatto sparire, ma per quattro giorni e quattro notti me lo sono tenuto sotto il maglione in carcere perché non riuscivo ad avere contatti con gli inquirenti. Ho rischiato di essere beccato se avessero fatto una perquisizione o immaginate cosa avrebbe pensato un altro detenuto se me lo avesse visto. Potevo essere ammazzato. Io ero consapevole di quello che stavo facendo e non potevo più fermarmi».

In quanto tempo è crollato Mirto Milani?

«In 34 giorni è arrivato a dirmi la verità finale. Ha cambiato versione tre volte. Fino a quella che poi ha anche confessato».

Lei quanto sente di essere stato determinante?

«Non voglio rispondere, ma dico solo che sicuramente i tre avrebbero continuato a negare e a rimanere in silenzio se non avessero letto dalla chiusura indagini che quello che Mirto mi aveva detto era finito in mano alla Procura. Probabilmente gli inquirenti sarebbero arrivati ad una conclusione ma in tempi più lunghi».

Che Mirto Milani ha conosciuto?

«Una persona particolarmente dotata di intelligenza. Il suo più grande difetto è la presunzione. Può contare però su un mix di doni oltre la media. Visionario sotto tanto aspetti. Prendiamo i depistaggi messi in atto: non sono da tutti. Lui lo ritengo l’artefice del piano, non perché lo abbia voluto solo lui, ma perché particolarmente dotato per poterlo gestire».

Non mi ha ancora risposto però. Chi è lei davvero?

«Arrivederci». Sorride, saluta e se ne va.

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dal giornale online: giornaledibrescia.it – Valcamonica
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