Non hanno mai incrociato lo sguardo. Perché Mirto Milani non ha mai alzato la testa. Sempre piegata verso un punto fisso sul banco degli imputati. Anche per le quasi tre ore, sulle dieci complessive di udienza, nelle quali in aula ha testimoniato il suo ex compagno di cella a Canton Mombello. Il 50enne che mentre stava scontando una condanna per reati fiscali aveva raccolto le sue confidenze per poi consegnarle agli inquirenti e costringere Milani a confessare di aver ucciso Laura Ziliani in concorso con le due figlie della vittima, Paola e Silvia Zani.
Il testimone chiave
«Ho sempre avuto dentro di me la consapevolezza che stavo facendo la cosa giusta. E quindi non avevo timore che in carcere potessi passare per infame» ha detto l’ex detenuto. Davanti alla Corte d’Assise di Brescia ha poi confermato, passo dopo passo, quanto aveva riferito al pm Caty Bressanelli durante le indagini e quanto scritto, con una calligrafia al limite del maniacale, in un diario redatto in carcere giorno dopo giorno, riportando pezzo dopo pezzo le lunghe ammissioni di Mirto Milani.
«Parlare di amicizia con lui da parte mia è fuori luogo. Ho sicuramente raccolto le sue confidenze. Cè stata un’evoluzione nelle sue dichiarazioni perché è stata un’escalation fino alla confessione completa. Sono stato io il primo a parlare in cella dell’argomento della morte di Laura Ziliani» ha detto il detenuto che alla domanda del presidente della Corte Roberto Spanò: «Perché lo ha fatto?» ha risposto: «Inizialmente per curiosità. Avevo seguito il caso quando ero libero e mi aveva colpito Mirto nell’occasione del primo incontro in carcere. Il suo modo di porsi, la sua volontà di spiegarmi perché era detenuto. Un atteggiamento che mi fece scattare qualcosa dentro. All’inizio ero curioso ed ero interessato a capire che cosa era successo. Preciso che non avevo alcun contatto con la polizia giudiziaria quando ho iniziato ad ascoltarlo e non ho ottenuto alcun beneficio» ha precisato l’ex compagno di cella di Mirto Milani.
Messi a Fuoco
Proprio l’ex compagno di cella di Mirto Milani sarà ospite questa sera nella puntata di Messi a Fuoco su Teletutto. Ospiti della puntata anche la giornalista Laura Fasani e l’avvocatessa Beatrice Ferrari, per trattare il tema della violenza di genere in occasione della Giornata internazionale dell’eliminazione della violenza contro le donne.
EMBED [Il presidente Roberto Spanò e il giudice a latere Wilma Pagano]
«Ad un certo punto mi racconta tutto dell’omicidio. Mi dice che loro avevano già deciso di uccidere Laura quella sera. Perché l’hanno ammazzata? Una volta disse per il clima familiare, per il brutto rapporto che cera tra lui e le due sorelle Zani e Laura Ziliani e poi cambiò versione raccontandomi che loro tre avevano la convinzione che la signora Ziliani volesse uccidere lui e le due figlie». Il testimone ha riferito in aula – piena per la presenza di molto pubblico – anche come sarebbe avvenuto l’omicidio stando alla confidenza ottenuta in cella.
«La figlia Silvia prese la signora Ziliani alle spalle facendola cadere su se stessa. "Era caduta sul grasso" disse Mirto riferendosi alla struttura fisica di Silvia. Mirto poi racconta che Silvia la teneva stretta da dietro perché Laura continuava ad agitarsi. Mentre le ragazze inveivano contro la madre, lui le ha messo un sacchetto in testa che ha chiuso con un cavo elettrico attorcigliato al collo».
EMBED [Il comandante dei carabinieri di Breno Filiberto Rosano]
Il piano e i depistaggi
Nell’udienza di ieri, la seconda di un processo che ora riprenderà il prossimo 2 febbraio, hanno testimoniato anche i carabinieri di Breno che hanno condotto le indagini. «A fronte dell’appello che fecero in tv, le due figlie sono sempre state distaccate rispetto alle ricerche. Ci aspettavamo una partecipazione diversa dato che stavamo cercando la madre» ha ricordato il capitano Filiberto Rosano.
«Il 25 maggio quando troviamo la seconda scarpa di Laura Ziliani che fece scattare grandi sospetti sui tre odierni imputati, durante il tragitto in auto da Brescia a Temù, Mirto chiama addirittura in caserma e spiega che da quel momento in avanti ogni comunicazione attinente alla signora Ziliani non doveva passare dalle figlie che erano infastidite, ma dovevano passare dallavvocato civilista. Era la prova – ha spiegato Rosano – del loro disinteresse». E a proposito di prove, ci sono quelle che il «trio criminale» avrebbe creato con la volontà di far ricadere la responsabilità dell’omicidio su altri.
«Una delle due figlie – è la tesi del maresciallo dei carabinieri di Breno Fabio Centola – ci disse che la madre era iscritta a siti di incontri facendo intendere che avremmo dovuto cercare in quel mondo per trovare l’assassino. Analizzando il telefono della vittima abbiamo scoperto che nel 2017 Laura Ziliani si era registrata in una chat di incontri, aveva visualizzato due profili e ricevuto 8 richieste di contatto senza mai rispondere. Poi il silenzio fino all11 giugno 2021 quando cè un nuovo accesso che riteniamo sia stato fatto dagli indagati che avevano le password e che in quei giorni avevano il telefono. Il loro scopo – ha detto il maresciallo dell’Arma Fabio Centola – era di farci credere che il responsabile poteva essere tra gli uomini conosciuti in chat dalla madre. Che invece avevano ucciso loro».
dal giornale online: giornaledibrescia.it – Valcamonica
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