Quello entrato in aula per la prima udienza è apparso un ragazzo frastornato, segnato dal carcere e incapace di alzare lo sguardo dal banco degli imputati che ha fissato per ore. A questo punto consapevole di quanto fatto e di cosa rischia.

Eppure c’è stata una fase, lunga, in cui Mirto Milani ha fatto di tutto per depistare le indagini sulla morte di Laura Ziliani che lui, per sua stessa ammissione tardiva, e le due figlie dell’ex vigilessa, Paola e Silvia Zani, hanno ucciso l’otto maggio 2021.

«Mettere secchio su strada Edolo prika, dentro, bruciare jeans, calze, reggiseno taglia terza, maglietta maniche lunghe. Lasciare in rientranza strada, su secchio lasciare dna uomo, età compresa 45-60 incastrare capelli dentro manico, oppure strofinare sigaretta usata o mascherina usata, farlo anche su lettera, su lettera e busta mettere impronte» scriveva Mirto in un pizzino consegnato alla madre durante un colloquio in carcere. Frasi incise con una punta su un foglio bianco e leggibili solo se ricoperte da cenere.

La confessione

Mirto crollò e confessò l’omicidio a distanza di otto mesi dall’arresto quando scoprì, dagli atti alla chiusura delle indagini, che le sue confessioni al compagno di cella erano diventate prove granitiche contro di lui.

EMBED [La vicenda]E il detenuto, nel frattempo uscito, sarà in aula come teste chiave il prossimo 24 novembre. È lui a dire agli inquirenti dei pizzini, poi trovati, che Mirto consegnava alla madre nei colloqui in carcere. In quello in cui cercò di depistare le indagini dava indicazioni chiare: «Usare sempre mezzi pubblici, guanti e mascherina, tenere cappuccio in testa, portare 3 cambi, cambiarsi in bagni bar. Dopo aver messo secchio aspettare 10-15 giorni poi inviare lettera. Non portare mai dietro cellulare». L’intenzione di Mirto era quella di incastrare un estraneo e accusarlo di aver ucciso Laura Ziliani.

«Su lettera scrivere che dispiaciuto, per questo ha ridato corpo, scrivere che ha lasciato su orecchini diamante perché non è un ladro, scrivere che gli aveva rovinato la vita, scrivere che l’aveva avvertita. Inviare lettera a giornali, tv e polizia, no carabinieri, dna e impronte solo su una lettera. Comprare busta e francobolli in posti diversi, in giorni diversi, mandare lettera da grandi città». Messaggio che si chiude con un appello: «Vi prego fatelo, qua è un inferno».

Passano mesi e Mirto Milani fa uscire da Canton Mombello un altro pizzino. Questa volta scrive su un lembo di un lenzuolo che nasconde nella manica durante un colloquio con la madre. Il tono è diverso. Fa sapere di voler confessare.

EMBED [Dagli interrogatori]«Non è facile questa cosa, ci ho pensato molto, è l’unica cosa giusta da fare. In questa lettera spiegherò cosa è accaduto l’8 Maggio in quello che è diventato il giallo di Temù, manderò la lettera a Carabinieri e Tv. Io avrei fatto tutto per lei, non volevo succedesse questo» scrive. E poi racconta una sua versione dei fatti senza riscontri. «Lei mi ha rovinato la vita, mi ha sempre usato, ero un burattino nelle sue mani».

Fino a raccontare il giorno dell’omicidio. «Non so cosa mi è preso, vedevo nero, l’ho afferrata al collo con il braccio da dietro e ho stretto. Non ricordo cosa è successo dopo, ma eravamo in terra, non c’era più nulla da fare. Preso dal panico l’ho nascosta vicino alla riva del fiume poi sono tornato, l’ho spogliata, l’ho seppellita, ci ho versato del fondo per massetto e poi altra sabbia, poi ho buttato i suoi abiti in un cassonetto separati».

dal giornale online: giornaledibrescia.it – Valcamonica
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