In 33 anni il ghiacciaio dell’Adamello si è ridotto di 4 chilometri quadrati, una superficie pari a 570 campi da calcio.

È un cambiamento in atto da tempo, dovuto principalmente all’aumento delle temperature provocato dalla crisi climatica, responsabile anche del crollo del ghiacciaio della Marmolada di due giorni fa per cui sono morte sette persone e ne risultano ancora cinque disperse. Le previsioni sono categoriche e impietose: stando ai calcoli degli esperti, l’Adamello sparirà del tutto entro la fine del secolo.

L’Adamello è il ghiacciaio più vasto delle Alpi italiane. Si trova in Alta Valcamonica, tra la Lombardia e il Trentino Alto Adige, per la gran parte in provincia di Brescia. La parte più alta si trova a 3530 metri di altitudine, quella più bassa a 2550 metri. È suddiviso in 6 zone: Miller Superiore, Corno Salarno, Salarno, Adamello o Pian di Neve, Adamé e Mandrone. Tutte queste aree stanno attraversando una fase di ritiro, dovuta sia a precipitazioni più scarse negli ultimi anni, con qualche eccezione, ma soprattutto alle temperature estive sempre più elevate.

Come funziona il monitoraggio

Il Servizio Glaciologico Lombardo è l’ente principale che monitora il ghiacciaio dell’Adamello. È un’associazione no-profit, costituita nel ’92, che oggi conta 60 volontari. Scopo dell’organizzazione sono la ricerca e il monitoraggio annuale di 47 dei 200 ghiacciai lombardi, sui quali vengono raccolti costantemente dati poi condivisi con istituti di ricerca, università ed enti, tra i quali Regione Lombardia, Comitato Glaciologico Italiano (CGI) e World Glacier Monitoring Service di Zurigo (WGMS).

Sull’Adamello ci sono quattro punti dedicati alla misurazione dei parametri che permettono di capire come sta il ghiacciaio. Oltre alle fotografie, lo strumento principale utilizzato dagli operatori del Servizio Glaciologico Lombardo sono le paline ablatometriche, aste di legno lunghe 10 metri che vengono piantate nel ghiaccio e lì lasciate per anni in modo tale da misurare lo scioglimento del ghiaccio in base alle tacche. «La metrica corretta per misurare la contrazione dei ghiacciai è il bilancio di massa netto, cioè i millimetri di acqua equivalente, che quantifica in sostanza il volume del ghiaccio – spiega Amerigo Lendvai, ingegnere ambientale e membro del Servizio Glaciologico Lombardo –. Il problema è che è molto difficile misurarlo, specie in Adamello, per via della conformazione del ghiacciaio. Quindi si utilizzano indici come la superficie e lo spessore, che sono inevitabilmente parziali ma ci restituiscono un dato piuttosto corretto».

Quanto si è ritirato il ghiacciaio

Secondo quando riportato dal sito di Ada270, uno degli ultimi progetti di monitoraggio dell’Adamello, alla fine dell’Ottocento la superficie del ghiacciaio era superiore ai 3000 ettari. A fine anni Novanta era già scesa a 1766 ettari e in base all’ultima rilevazione disponibile, effettuata nel 2020, oggi si ferma a meno della metà di allora: 1431 ettari (14,31 chilometri quadrati).

EMBED [Riduzione ghiacciaio]

«L’ultimo periodo buono per i ghiacciai è finito all’inizio degli anni Ottanta – commenta Lendvai –. Dal Duemila in poi la velocità con cui arretrano i ghiacciai è aumentata di 5-6 volte rispetto alla media con cui si sono ridotti dalla fine dell’ultima età glaciale tra il 1850 e i primi del ‘900».

In generale, la situazione di un ghiacciaio può dirsi in equilibrio se alla fine dell’estate almeno il 44% della sua superficie è ancora coperta dalla neve invernale. In gergo tecnico, questo rapporto è chiamato indice di bilancio di massa. L’Adamello non vede valori positivi da otto anni: l’ultima volta che la neve ha rivestito sufficientemente l’area ghiacciata era il 2014. E questo nonostante oggi, a causa della riduzione del ghiacciaio, sia sufficiente una quantità di neve di quasi due chilometri quadrati in meno rispetto a 30 anni fa per raggiungere il valore minimo necessario all’equilibrio tra neve e ghiaccio.

EMBED [Confronto fotografico]

Nel grafico qui sotto infatti il valore minimo è rappresentato dalla linea arancione, che tende verso il basso perché la superficie ghiacciata diminuisce di anno in anno e quindi anche la necessità di copertura nevosa. Il problema però è che le precipitazioni degli ultimi anni sono state così scarse che non sono bastate a coprire la superficie ghiacciata e quindi il bilancio è continuamente negativo.

EMBED [Copertura nevosa]

Un seracco in Valcamonica

Il crollo di una porzione di ghiacciaio con una volumetria simile a quello che è avvenuto sulla Marmolada domenica scorsa è un evento piuttosto raro. Nelle dinamiche che segnano l’evoluzione delle aree glaciali tuttavia, in particolare nel corso degli ultimi decenni, gli effetti del riscaldamento globale si manifestano con maggiore frequenza anche in alta quota e generano crolli e franamenti diffusi.

Distacchi di blocchi e anche intere pareti di roccia sono avvenuti negli ultimi anni sulle Dolomiti, sul Monte Bianco e sul Monte Rosa, e nello stesso periodo non sono mancati episodi di crolli di seracchi, i blocchi di ghiaccio che si separano dal ghiacciaio. Tre anni fa è successo anche sul gruppo dell’Adamello: tra settembre e ottobre 2019 si è staccata una porzione della fronte della Vedretta di Salarno, collocata a sbalzo tra il Corno Miller e il Corno di Salarno, nel settore meridionale del ghiacciaio. Fu Amerigo Lendvai a cogliere i segni del fenomeno nel gennaio del 2020 nel corso di un’escursione scialpinistica in Val Salarno. Dato che la frequentazione della valle da parte di escursionisti e di alpinisti avviene soprattutto nel periodo estivo, in quell’episodio non rimase coinvolto nessuno. L’entità del crollo, come nel caso della Marmolada, è evidente nel confronto delle immagini che riprendono il seracco prima e dopo l’evento.

EMBED [Seracco Adamello]

Quello della Val Salarno fu classificato come crollo per distacco di una porzione dal corpo principale del ghiacciaio, con scivolamento successivo sulla roccia di fondo che è molto liscia.

Nella storia della Vedretta di Salarno, ricorda Lendvai, gli episodi di crollo sono sempre avvenuti a causa della sua posizione a sbalzo. Quello della Marmolada invece, a detta delle prime informazioni raccolte da glaciologi e tecnici, potrebbe rivelare ancora una volta l’eccezionalità delle trasformazioni in atto negli ambienti di alta quota, dove si riflettono con drammatica evidenza gli effetti dei cambiamenti climatici. 

Una lente costante

L’Adamello, insomma, si sta ritirando velocemente e per questo resta tra gli osservati speciali. Il Parco dell’Adamello è uno dei protagonisti: ha svolto in passato e continua a promuovere progetti di ricerca che consentono di conoscere la storia evolutiva dei ghiacciai, le loro condizioni attuali e le tendenze future. Nel 2010 il Caripanda, coordinato dalla biologa Anna Maria Bonettini, ha focalizzato la sua attenzione sui cambiamenti climatici e sulla gestione sostenibile delle risorse idriche. Nel 2021 le attività di Ada270 hanno permesso di ricavare dal Pian di Neve una carota di ghiaccio di 270 metri di lunghezza che sarà sottoposta ad analisi chimiche, fisiche, biologiche e paleo-climatiche. Ultimo in ordine di tempo è il ClimADA, che è stato avviato nel 2022, attraverso il quale si otterrà anche, con alcuni dei filoni della ricerca, una ricostruzione dei climi del passato, e la previsione dell’evoluzione dei ghiacciai nei prossimi decenni.

Lo scenario

EMBED [L’effluenza del Mandrone]

E quindi cosa accadrà al ghiacciaio? Il Servizio Glaciologico Lombardo ha provato a rispondere con alcune simulazioni utilizzando uno studio uscito nel 2019 che prende in considerazione tre tipi di scenari (RCP, representative concentrations pathways) sull’evoluzione delle concentrazioni di Co2 nell’atmosfera, che sono tra le maggiori cause del riscaldamento globale. Semplificando, le proiezioni permettono di capire come evolverà il ghiacciaio se 1) le emissioni di Co2 diminuiranno fino a stabilizzarsi (RCP 2.6), 2) le emissioni raggiungeranno un livello di mitigazione media (RCP 4.5), 3) le emissioni di Co2 resteranno molto alte (RCP 8.4).

Nonostante la differenza di questi scenari possibili, le stime non lasciano spazio per un’inversione di tendenza: entro il 2100 del ghiacciaio dell’Adamello non rimarrà nulla

EMBED [Scenari]

«Il problema è enorme e non abbiamo una soluzione per salvare il singolo ghiacciaio – commenta il direttore del Parco dell’Adamello Guido Calvi -. Nella lotta al cambiamento climatico siamo tutti coinvolti come cittadini: abbiamo il dovere di tenere alta l’attenzione per chiedere uno sforzo collettivo». E salvare cosa può ancora essere salvato.

dal giornale online: giornaledibrescia.it – Valcamonica
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