Lo abbiamo raggiunto mentre stava sistemando le ultime cose nella borsa. Nelle ultime ore nella sua casa di Gorzone di Darfo, prima di partire per la Moldavia, al confine con l’Ucraina. Fabrizio Minini lavora per la Croce rossa internazionale e si è messo a disposizione per una nuova missione, nonostante queste sarebbero dovute essere le sue vacanze, dopo mesi nel Donbass: ha chiamato Ginevra e si è detto pronto a partire subito.

Quanto sta accadendo alle porte dell’Europa lo coinvolge. Anche perché con gli ucraini ha rapporti profondi, che affondano le radici negli anni Novanta, quand’era volontario nell’orfanotrofio di Gorodnya. Ieri mattina alle 9 era in aeroporto a Ginevra, per partire. Lui si occupa di logistica e con altri 4-5 cooperanti della Cri ha il compito di costituire un hub logistico avanzato, per aiutare «le file di rifugiati» che stanno attraversando il confine moldavo verso l’Europa. Uno dei luoghi, come hanno riferito alcuni contatti locali, meno supportati. Dove manca tutto. «Qui non abbiamo nulla e arrivano migliaia di persone», ha riferito loro un sacerdote del posto.

L’impegno con la Croce Rossa

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Per Fabrizio, classe 1977, è solo una tappa. L’obiettivo è entrare in Ucraina non appena sarà possibile. Ma non subito: oggi la situazione è troppo fluida, confusa; sarebbe quasi inutile oltrepassare il confine per poi non riuscire a operare. Per ora quindi si lavora sul «flusso di rifugiati in uscita», per il «rapid deployment unit», la fase di avvicinamento per porre le basi della missione.

Fabrizio non ha paura, un po’ per carattere, un po’ per professione. Sulle spalle ha decine di altre missioni: in Sud Sudan, Iraq, Libia, Somalia, Sierra Leone. E tanti anni anche da volontario, soprattutto in Ucraina, al fianco degli orfani, con l’associazione camuna Domani Zavtra, che ha fondato.

L’impegno nelle scuole

Fabrizio è un fiume in piena mentre racconta il suo lavoro, le emozioni, le guerre. Con entusiasmo, sicurezza e carisma. Lo ha fatto anche sabato davanti a trecento liceali di Breno: ha catalizzato la loro attenzione, ha risposto a ogni domanda. Ha soprattutto ricordato che, nel mondo, ci sono altre dodici guerre di cui non si parla; in particolare in Afghanistan, dov’è in corso la peggior carestia di sempre. Il suo primo approccio è stato da adolescente, come volontario della Caritas negli anni Novanta. Trent’anni fa, nel 1992, caricava scatoloni sui furgoni da mandare in Bosnia, esattamente come oggi, per una «guerra schifosa: in tre decenni non è cambiato nulla, a quanto pare». Ai tempi, dopo il liceo, lavorava come operaio, finché si è licenziato per passare un anno da volontario nell’orfanotrofio di Gorodnya, con i soldi della liquidazione. «Ci lavoro da anni, ho visto tante situazioni difficili e brutte – ci dice -; la Cri ha un ottimo sistema di sicurezza e molte regole. Non sono preoccupato per me, ma per le conseguenze di questo conflitto, perché non abbiamo idea di dove andiamo e non si capisce cosa voglia la Russia».

Gli amici a Mosca

Fabrizio ha degli amici a Mosca, che gli raccontano di una tensione alle stelle: «È chiaro che per Putin questa è comunque la fine – riflette -: se anche si ferma adesso le sanzioni andranno avanti. Ha 70 anni e in Russia la vita media è 73, forse vuole lasciare un ricordo forte di sé, della Grande Russia?». I suoi colleghi ucraini oggi sono tutti nei bunker, con alcuni è in contatto, altri sono scomparsi. «Quello che mi aspetta è l’attesa – conclude – senza sapere che succede, con il desiderio di poter entrare in Ucraina al più presto». Ci siamo salutati con un «in bocca al lupo» e la promessa di «tenerci aggiornati».

dal giornale online: giornaledibrescia.it – Valcamonica
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