La suggestiva tradizione bresciana delle macchine dei Tridui

La tradizione del triduo (tre giorni) di preghiera si era smarrita nel corso degli anni, qualche anziano del paese ne conservava la memoria, ma nulla più. Ma una gelida sera di febbraio del 1771 accadde qualcosa di inatteso e straordinario. Alcuni abitanti di Malonno, mentre rientravano a casa, passando accanto alla chiesa parrocchiale sentirono dei canti che provenivano dall’interno. Furono molto incuriositi, l’ora era tarda e non c’erano funzioni in programma, quindi entrarono.

La leggenda

Narra la leggenda che si trovarono di fronte ad alcuni spiriti dei morti che, con in mano una candela, cantavano e pregavano. La visione fu interpretata come un ammonimento divino e la devozione del triduo riprese. Non solo, venne anche costruita la macchina del triduo, struttura da collocarsi dietro l’altare maggiore della parrocchiale, costituita da trentanove pannelli in legno dipinto e da più di 500 candele a cera. L’origine del Triduo per i morti si perde ovviamente nella storia del cristianesimo, ma in territorio bresciano questa devozione ha preso corpo in un modo originale e unico, con le maestose «macchine».

EMBED [La macchina dei tridui di Pisogne (2010)]

Mons. Giacomo Canobbio ne individua le prime testimonianze a seguito di due sanguinose battaglie nelle lotte di successione spagnola, scontri che lasciarono sul campo centinaia di morti, soprattutto a Chiari (nel 1701) e a Calcinato (due anni dopo, nel 1703). Scrive Ivana Passamani Bonomi nell’interessante volume «Il disegno dei Tridui. Il tempo e la memoria nello spazio della Chiesa»: «I Tridui esprimono il sentimento umano di pietà verso le anime dei defunti che, grazie alle preghiere dei vivi, sono aiutati a lasciare il purgatorio e a entrare in paradiso. Possiamo quindi sostenere che la funzione triduale rappresenti una preghiera corale di intercessione e che l’apparato ligneo, importantissimo in quanto accoglie l’ostensorio, veicola verso l’alto i sentimenti di pietas».

E ancora: «La consuetudine di pregare per le anime del purgatorio, già confermata dal concilio di Trento nel XVI secolo e particolarmente intensificata nel corso del Settecento e dell’Ottocento, era stata avviata dopo il concilio di Lione del 1274 in cui si canonizzò il dogma del purgatorio (ricordiamo infatti che ad esso non si fa alcun riferimento nelle sacre scritture):la preghiera aiuta e allevia la sofferenza delle anime purganti, abbreviando il loro tempo di espiazione». C’era poi anche un aspetto molto più materiale, «i familiari dei defunti versavano alla Confraternita del Triduo un pagamento per la funzione contribuendo in tal modo alle spese per l’allestimento dell’apparato, per il predicatore e i musicisti, per l’acquisto della cera».

Le macchine

Ciò che contraddistingue la celebrazione dei Tridui bresciani dalla generica celebrazione dei tre giorni di preghiera, è appunto l’allestimento delle «macchine», spesso vere e proprie architetture realizzate in legno, più raramente in cartapesta. «Le macchine e gli allestimenti a esse connessi – scrive ancora Passamani Bonomi -, oltre a farsi veicolo della preghiera riparatoria della comunità dei vivi per la comunità dei morti, danno corpo e scena al contrasto tra il tempo di carnevale, caratterizzato da abbondanza e sfrenatezza, e quello di Quaresima, contraddistinto invece da ristrettezza, penuria, sacrificio».

EMBED [Speciale 150 anni]Gli imponenti apparati si sono diffusi un po’ in tutta la provincia, arrivando in alcuni casi fino ai giorni nostri. «L’apparente contrasto tra l’imponenza delle installazioni, la ricchezza del registro decorativo, lo sfavillare delle luci e l’ineluttabilità della morte – prosegue Passamani Bonomi – non è altro che un messaggio di speranza, di redenzione e di salvezza, un tramite che connette la collettività dei fedeli con quella dei defunti grazie alla preghiera rivolta all’Eucaristia, intorno alla quale ruotano le complesse installazioni». Una tradizione profondamente bresciana che si rinnova, ancora, con devozione di anno in anno.

Dove sono

Le macchine dei tridui in funzione ancora oggi sono concentrate nell’ampia fetta di territorio che, attraversando la provincia bresciana da est a ovest, va dalla Franciacorta al Basso Garda. Gli apparati più rinomati sono quelli di Castenedolo, Lonato del Garda, Folzano, Rodengo Saiano, Borgosatollo e Chiesanuova, che richiamano ogni anno migliaia di fedeli desiderosi di rivivere la magia del rito. Ce ne sono però anche altri degni di nota, che magari non vengono montati tutti gli anni, come ad esempio Dello, Ome e Borgo Poncarale.

EMBED [La macchina dei tridui di Verziano (2000)]

Nella nostra provincia si ritrovano apparati di ogni tipo, che risentono del tempo in cui sono state create, quelle di origine settecentesca, per esempio, sono prettamente barocche e festose, spesso con il gioco degli opposti e con un marcato gusto per il macabro, ma si differenziano anche per la loro struttura, la loro forma diciamo così. E se solitamente sono macchine scenografiche che si ergono maestose dietro l’altare maggiore della parrocchiale, a Travagliato troviamo invece un gigantesco scalone, una vera e propria Scala Santa che viene montata davanti all’altare, simboleggia in modo inequivocabile il cammino verso il paradiso. Anche in questo caso, ogni anno la tradizione è rinnovata grazie alla devozione dei fedeli.

Una ricca presenza di apparati lignei punteggia anche la Valcamonica, dove sono ancora in uso a Malonno, Borno e Breno. Più piccole ma comunque suggestive sono le macchine delle Quarantore (simili ma più ridotte) che si trovano ad esempio nelle chiese di Bienno, Verolanuova, Chiari e San Paolo.

Tra incendi e ritrovamenti casuali

EMBED [La macchina dei tridui di Darfo Boario Terme (2012)]

Attraversare indenni i secoli non è certo un’impresa facile, un percorso che si fa particolarmente accidentato se la struttura in questione è in legno, non solo, se il suo massimo splendore lo raggiunge adornata da centinaia e centinaia di luminose candele. La straordinaria storia delle maestose macchine del Triduo può contare oggi su pochi esemplari visibili, molti, appunto, sono andati distrutti o persi lungo i decenni; altri giacciono malconci in qualche solaio o cantina.

L’apparato di Malonno, per esempio, fu distrutto nel 1940 da un incendio che scoppiò nella sacrestia, per riportarlo agli antichi fasti servirono 45 anni, fu rimontato nella parrocchiale soltanto nel 1985. In altri casi queste vere e proprie opere d’arte devozionale riemergono all’improvviso, come nel caso di Roncadelle. La macchina del Triduo fu ritrovata per puro caso, durante alcuni lavori di restauro, in un deposito nascosto della chiesa parrocchiale, ovviamente era in pessime condizioni e mancante di alcune parti; fu quindi costituito un apposito comitato e l’apparato venne quindi restaurato.

dal giornale online: giornaledibrescia.it – Valcamonica
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