” Sono definiti “giusti” le donne e gli uomini che fecero del bene, opponendosi al male e rischiando la propria vita e quella delle loro famiglie. Di tanti si conoscono i nomi, mentre tanti altri rimasero e rimangono sconosciuti, proprio per quella legge umana dove il fare del bene, non è inusuale, ma non ci si vanta, è la regola.
Si fa, in silenzio, spinti dall’umanità che molti uomini e donne posseggono”
Le donne: “Giuste” di Desenzano e d’Italia.
Nei terribili mesi di vita, di morte, della Repubblica sociale italiana, tra il settembre 1943 e il 25 aprile 1945, dove il male, con la violenza e l’odio, sembrava prevalere, le donne di Desenzano ebbero la reazione più significativa e si impegnarono nel fare il bene. Il tranquillo paese del lago di Garda, venne snaturato dalla più forte presenza del male con l’insediamento del Comando generale delle SS, quando Hitler aveva conferito al gen. Wolff la delega quale plenipotenziario militare e politico per l’Italia e, poi, a pochi metri di distanza da quel comando, l’Ispettorato della razza, attraverso il quale si metteva in atto il processo persecutorio italiano. Le donne in silenzio, quelle poche rimaste nelle loro abitazioni in paese e, poi, quelle che abitavano le case rurali della campagna circostante, si ribellarono al male. In silenzio continuarono a tener vivo il sentimento di pace e di reciproco aiuto, rifuggirono da quel male che era manifesto.La loro non fu una solidarietà simbolica nei confronti delle famiglie di religione ebraica che si trovavano a passare, che cercavano rifugio durante le ore del giorno per poi rimettersi in cammino al calar delle tenebre accompagnate verso le valli alpine, in una staffetta di solidarietà che dimostrò l’umanità dell’uomo che non può essere cancellata negli “uomini veri”.
Il fatto importante era che tutte quelle donne agissero spontaneamente, non seguendo un disegno organizzativo ma si misero a dare accoglienza ad uomini sconosciuti che si presentavano alla porta di casa con gli abiti laceri, con i visi e le braccia segnati dalle spine delle siepi di rovi, perché si erano buttati giù dai vagoni ferroviari che li avrebbero dovuti trasportare verso il lager in Germania. Aiutarono altri che non potevano camminare che vennero ospitati, curati, tenuti nascosti per mesi e mesi, nei sottotetti, in anfratti di fortuna, sul fondo di pozzi ed a loro, nelle ore notturne, venivano portati dei cibi caldi perché si rifocillassero. Anche le suore, a pochi metri dalla sede dell’Ispettorato della razza, ospitarono due donne ebree, le vestirono con abiti monacali: niente doveva trapelare, niente venne registrato, avrebbe potuto costare la vita a coloro che “ospitavano”. Le loro gesta silenziose non sono state raccolte. Forse avrebbero danneggiato quell’aura di perbenismo che esisteva ed esiste ancora sul Garda. Dove si vuol dimenticare o si accetta purtroppo la banalizzazione di quella “repubblica”, infatti mettendo in chiaro il bene è logico che emerga la presenza, la contrapposizione con il tanto male che esisteva. No, si scelse supinamente, era più comodo negare il male, non cercare di giustificarne la presenza, e così, allo stesso tempo, dover tener nascosto anche il bene che venne fatto!
Le donne di Desenzano, ma è sicuro che tutte le donne italiane, quelle non asservite, accecate dall’odio fascista, ma quelle “donne vere”, umili, molto spesso analfabete fecero, attuarono il bene perché “era un dovere morale farlo”. Era un moto spontaneo, non chiedevano ricompense, non chiedevano “niente di ritorno”. Fecero il bene e basta! Uno sguardo buono, un sorriso, una parola o anche solo la stretta di mano di commiato, valevano ben più di qualsiasi altra ricompensa. Il tessuto sociale iniziò così la cicatrizzazione di quell’orrenda ferita che segnò la vita del fascismo, iniziò un’opera lenta di ricostruzione della “nuova Italia” e questa ebbe inizio non solo dalle esultanti parate di piazza dei partigiani ma fu grazie al lavoro nascosto, proprio simile a “quel rammendo dei calzini” che le donne la sera al lume di candela o delle lampade a petrolio, si apprestavano, quasi quotidianamente, a fare. Lasciavano da parte la stanchezza, dopo aver accudito tutto il giorno ai lavori domestici ed a quello, ben più gravoso, dei campi, perché gli uomini non c’erano, erano stati sbattuti su fronti di guerra lontani, da cui molti non sarebbero tornati.
Grazie donne d’Italia. L’Italia libera e democratica di oggi vi deve riconoscere come “giuste”, non solo le donne di Desenzano, paese che più di ogni altro subì l’invasione dell’apparato nazifascista della RSI, ma tutte voi donne che non ci siete più. Vi rendiamo onore onorando e rispettando le vostre figlie, ora madri e nonne. Grazie donne d’Italia.
L’ITINERARIO STORICO E IL BOSCO DELLA MEMORIA SONO STATI INSERITI NEL CIRCUITO “GARDENS OF RIGHTEOUS WORLDWIDE”.
Gaetano Agnini
dal giornale online: Museo Resistenza Valsaviore
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