Le foto che lo ritraevano con il kalashnikov o con i simboli dell’Isis, quelle dei suoi bambini piccoli con la bandana del Califfato sulla fronte, persino l’immagine di un suo fratello miliziano dello Stato Islamico che sta per giustiziare (mediante sgozzamento) un presunto violentatore inginocchiato: secondo il giudice per le indagini preliminari Ezia Maccora, sulla scorta di quanto emerso dalle indagini condotte dalla Dda di Brescia, quelle immagini nella memoria del cellulare avevano una possibile finalità. L’ipotesi è che il trentenne siriano fermato all’aeroporto di Orio mentre tentava di imbarcarsi per Malta con documenti falsi, se le portasse appresso come si farebbe con un biglietto da visita. Erano un curriculum da presentare «come forma di accreditamento – scrive il giudice – presso altri soggetti che avrebbe raggiunto». Il gip, che sabato mattina ha interrogato il siriano, ha convalidato il fermo e disposto la custodia in carcere, ravvisando pericolo di fuga e gravi indizi di colpevolezza in ordine a entrambi i reati di cui è accusato: associazione e arruolamento con finalità di terrorismo internazionale. Da un lato le fotografie trovate nel telefonino: «Scattare e conservare una foto che ritrae il proprio figlio con i simboli dell’organizzazione terroristica non può che significare la piena approvazione dell’organizzazione e delle sue finalità». Poi ci sono le presunte incongruenze nel suo racconto, che farebbero apparire «palese il tentativo maldestro di descriversi come un profugo» quando invece «il suo comportamento e le sue condizioni di vita contrastano con quanto si riscontra in chi richiede lo status di rifugiato politico». «Scappato vestito da donna» Il trentenne nell’interrogatorio notturno di cinque ore aveva raccontato di essersi arruolato nella polizia stradale dell’Isis , di essere finito nei guai perché «mi avevano accusato di aver preso soldi per chiudere un occhio di fronte ad alcune violazioni stradali» e di essere stato punito con cento frustate. Ha detto di essere fuggito passando il confine con la Turchia travestito da donna, per poi decidere di spostarsi a Malta dove vivrebbero parenti (ma non c’è riscontro). Dalle indagini emerge un elemento ancor più inquietante: il viaggio dei due siriani fermati a Orio sembra essere stato gestito da una sapiente regia, che negli atti viene definita «rete internazionale di trafficanti di migranti», ben organizzata, con disponibilità di denaro e di documenti falsi.
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