Al Tribunale di Verona questo mercoledì è stato il giorno dell’udienza preliminare per fare luce sull’omicidio di Federica Giacomini, la 43enne bresciana, ex segretaria d’azienda ed ex attrice di film a luci rosse, ambiente in cui era conosciuta con il nome di Ginevra Hollander. Accusato di averla uccisa nell’appartamento che condividevano nel veronese e poi di averla fatta sparire, il camuno Franco Mossoni che già in passato era finito in carcere per l’omicidio di un rivale in amore, fatto che aveva sconvolto i paesi di Malegno e Cividate, e che con la donna aveva una relazione e che quindi fin da subito è stato il primo sospettato. Ad inchiodarlo poi, la testimonianza di chi ha ricordato di aver accompagnato in mezzo al lago di Garda un biologo che ha immerso una strana cassa per effettuare delle analisi. Quella cassa poi è risultata essere il sarcofago di plexiglas in cui era contenuto il corpo della vittima e quel biologo trasportato dall’ignaro barcaiolo è risultato essere Franco Mossoni. Solo così si è potuto ritrovare il corpo di Federica Giacomini, dopo mesi di assenza, dopo che il 9 febbraio ne era stata denunciata la scomparsa. Mossoni, che poco dopo la scomparsa della sua compagna, era stato ricoverato in un ospedale psichiatrico poiché era entrato in un ospedale seminando il panico e fingendosi Rambo, soffriva di bipolarismo e di un disturbo asociale della personalità. Così quanto ha stabilito il perito incaricato dal giudice di tracciare un profilo psicologico dell’uomo. La perizia è stata illustrata nel corso dell’incidente probatorio. Secondo l’esperto Mossoni è una persona capace di intendere, ma non di volere. Sarebbe quindi consapevole delle sue azioni ma non di controllarle. Una dichiarazione di seminfermità che quindi non metterà il 56enne camuno, attulamente detenuto nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, nelle condizioni di non poter essere condannato ma di ottenere solo un eventuale sconto di pena. Ora la parola torna al pm veronese Marco Zenatelli.

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